Tema del mese

Mescolare

Le mescolanze sono il tema del mese di maggio: unire vini tramite uvaggi o tagli per realizzarne uno nuovo

A maggio vi portiamo a conoscere i vini ottenuti da più vitigni, spesso capaci di emozionare e molto rappresentativi dell'idea del produttore.

Il tema di maggio è un tema a cui teniamo molto, come vi abbiamo già raccontato nella nostra anteprima. Si parla infatti di mescolanze, di unioni tra più vitigni – in fondo, di incontri. Incontri che in un Paese come il nostro sono sempre stati fondamentali – con popoli venuti da altrove, che sia da oltralpe, che sia da Est, o dal Mediterraneo negli ultimi anni. Ancora prima, l’incontro che gli italiani stessi hanno fatto andando a emigrare verso le Americhe. E nelle Americhe si sono spesso incontrati per la prima volta gli italiani del Nord e del Sud, tanto che in alcuni casi si può dire che alcune ricette italiane siano nate proprio lì, da italiani fuori dall’Italia. In poche parole, questo mese parliamo dell’incontro che, nella vita, come nelle arti, come infine nel vino, è sempre il modo per creare qualcosa di nuovo, diverso, spesso migliore – tanto che i blend, a volte quasi ignorati in questi anni, sono spesso i vini di maggior qualità e più personali di una cantina.
1.

La tradizione

È vero infatti che negli ultimi anni sembrano essere apprezzati soprattutto i vini ricavati da un unico vitigno, tanto che spesso si trovano ormai vinificate in purezza uve che solitamente sono usate nei tagli, ma rimane che i blend e gli uvaggi sono alla base di vini grandissimi, che spesso raccontano meglio di tanti vini monovitigno la storia e le idee del produttore e la tradizione del luogo. E non c’è bisogno di scomodare i grandi tagli bordolesi o i cosiddetti super tuscan: basta davvero solo guardare alla storia di un territorio, a come si è sempre fatto il vino. E il nostro sguardo questo mese per certi versi sembra originale, perché vi proponiamo mescolanze spesso fuori dagli schemi più conosciuti, ma per un altro verso è proprio un riappropriarsi del modo di fare vino più antico.

Mescolare è alla base, lo è sempre stato, del fare spumanti. Ecco allora che ritroviamo D’Araprì e i suoi magnifici spumanti a base Bombino bianco o Montepulciano, unito a un signore degli spumanti quale il Pinot nero. Un blend simile, ma con il Nero di Troia al posto del Pinot, è quello del Cacc’e Mmitte di Lucera de La Marchesa. Se si parla di Pinot nero in Italia, poi, il pensiero vola subito in Oltrepò Pavese, ma le mescolanze che vi proponiamo da quelle terre non prevedono il grande vitigno internazionale, ma più umili vitigni storici locali, con Croatina e Barbera a farla da padroni. Nello straordinario Bricco Riva Bianca e nella bonarda ferma che è il Rosso d’Asia si sente la mano e l’infinito rispetto per il territorio di Andrea Picchioni, il nostro produttore del mese. A pochi chilometri di distanza, i fratelli Calatroni hanno dato vita al progetto Mon Carul, dedicato ai vitigni autoctoni, alla coltivazione in biologico, alla comprensione delle potenzialità di vitigni storici che sono radici su cui costruire il futuro. E avvicinandosi al mare la Barbera la ritroviamo anche nei vini liberi e anarchici di Walter Massa, stavolta unita ad altri vitigni piemontesi, come il Cortese, il Nebbiolo, la Freisa.

2.

I vitigni internazionali

Ma i blend non sono solo di vitigni storici: in alcune zone d’Italia è anzi tradizione mescolare tra loro vitigni internazionali, o unire vitigni storici del luogo ad altri internazionali ma che hanno comunque una forte tradizione locale. È allora nei Colli Euganei che troviamo i vini del Vignale di Cecilia, in cui da vero direttore d’orchestra Paolo Brunello sa fare suonare insieme Cabernet Franc e Carménere, Merlot e Cabernet Sauvignon. O, nei colli di Conegliano, Gregoletto affianca alla grande tradizione dei prosecchi anche un rosso realizzato con Cabernet, Merlot e Marzemino.

In Friuli poi Damijan Podversic riesce, con la sua abilità e il suo ingegno, a rendere indimenticabile il Prelit, da Merlot e Cabernet Sauvignon, mentre nel Kaplia unisce allo Chardonnay vitigni più tradizionali come la Malvasia e il Nekaj; Malvasia che ritroviamo anche, insieme alla Vitovska, vinificata da Gregor Budin nel Carso. In Toscana infine Sassotondo fa incontrare Merlot e Sauvignon con vitigni storici del luogo, come il Sangiovese o il Ciliegiolo, di cui la cantina di Carla Benini è una delle più grandi interpreti in Italia. E in omaggio alle origini di Carla in alcune mescolanze vediamo apparire anche il Teroldego, molto inusuale in queste terre.

3.

Riscoprire vitigni minori

Poco distante da lì, in Chianti, Fattoria Fibbiano mecola Sangiovese, Ciliegiolo, Canaiolo e Colorino, come d’altra parte tradizione del luogo. Ciliegiolo, Canaiolo, Colorino: piccoli grandi vitigni locali che ci riproiettano nella dimensione più antica, nella tradizione più profonda. Quella riscoperta in tanti angoli d’Italia: da La Chimera in Val di Susa, con Avanà e Becuet, a Cenatiempo e i tanti vitigni locali dell’isola di Ischia. Dai vitigni tradizionali usati a Ventotene da Candidaterra, al Caprettone utilizzato da Bosco De’ Medici in Campania nel suo Lavaflava, fino al Pecorello di Brigante, in Calabria, per l’Essenzo. Saltiamo con un balzo lo stretto di Messina, e andiamo a trovare Nerello mascalese e Nerello cappuccio, le due uve dell’Etna mescolate da Salvo Foti.

E chiudiamo il viaggio di questo mese alla punta opposta, con Marilena Barbera, nel sole di Menfi e un vino che chiude idealmente il cerchio: abbiamo iniziato la presentazione del mese citando i super tuscan, e suggerendo che volevamo farvi conoscere qualcosa di diverso, e chiudiamo con quello che Marilena giocosamente definisce un super sicilian. Perché deve sempre esserci, almeno un po’, il gioco.

Anche per questo mese, buon viaggio.