Il nostro viaggio

Anteprima di agosto: la biodiversità

Il mondo del vino non è solo etichette e luoghi blasonati, ma soprattutto l'emozione della riscoperta di un territorio.

Italo ci accompagna in un viaggio che racconta battaglie che vengono da lontano e parla le tante lingue di ogni angolo d'Italia.

Il mondo agricolo italiano e in particolare la nostra viticoltura è una delle vive testimonianze della straordinaria biodiversità del nostro Paese. Sul Registro Nazionale delle Varietà di Vite da Vino troviamo oggi, disseminate sul territorio nazionale, circa mille tipologie, e molte altre devono ancora essere catalogate. Ma nonostante questi numeri incredibili, non sempre è tutto filato liscio. L’attuale viticoltura, e i vini che oggi allietano i nostri sensi, è in realtà sopravvissuta ad anni di scelte scellerate, iniziate alla fine del ‘900, che avevano come scopo la riduzione delle varietà coltivate. L’obiettivo era quello di assecondare il gusto dei ricchi mercati del nord del mondo e uno dei racconti fantastici per giustificare una tale scelta era quello di competere con i cugini francesi. Loro sì capaci di fare vino e di valorizzare la materia, non come noi, gretti sostenitori di uve e vini poveri. Pensate a un Lambrusco, a un Grechetto, o Dio non voglia, una Nosiola!
1.

Il gusto degli altri

Erano tempi bui: gli affinamenti in legno erano lunghi, i vini concentrati e la bevibilità e il piacere di approcciarsi a un vino solo per il semplice desiderio di berlo non contavano affatto. E ricordate quando un vino, prodotto con varietà tradizionali di una qualsiasi regione italiana, doveva subire il confronto con quelli nati da varietà nobili francesi senza mai essere considerato all’altezza?
E così si iniziarono a buttare a mare millenni di storia, piantando ovunque le varietà internazionali a discapito di quelle che fino ad allora si erano coltivate nelle regioni italiane.
Ma inaspettatamente accadde che alcuni fastidiosi granelli di sabbia incepparono il meccanismo. Produttori testardi, visionari, sognatori, infinitamente innamorati dei loro territori e della loro storia vollero riaffermare l’importanza delle loro radici.

2.

Tornare alla terra

Avevano capito che la diversità di ogni pugno di terra era il vero capitale e che assecondare quei cambiamenti avrebbe prodotto un’Italia senza dialetti, senza passato.
Bisognava invece ridare ascolto all’esperienza, alla storia dei territori, ai racconti dei nonni. Era importantissimo capire da cosa nascevano le loro scelte e perché queste li avevano portati lì, in quel punto preciso.
Loro lottavano ogni giorno per la sopravvivenza e il loro lavoro non prevedeva errori: richiedeva precisione, osservazione e ascolto.
Non era un passatempo né un gioco per i più furbi, come quello di centinaia di forbiti speculatori, economici e culturali, che per anni hanno cercato di livellare, appiattire e omologare il vino italiano.
Ma alla fine, anche loro hanno dovuto piegarsi alla legge della terra.
Perché gli appassionati, i bevitori, e innumerevoli persone legate al vino hanno saputo al momento opportuno cogliere il guanto di sfida lanciato da chi non si dava per vinto e, con il loro contributo, alimentato dal desiderio di novità e di riscoperta, sono riusciti a ridare vita e dignità al comparto vitivinicolo.
Oggi, finalmente, chi vi si dedica può farlo personalizzando le proprie scelte sulla base della ricchezza del proprio territorio di origine senza provarne disagio o sentirsi figlio di un dio minore. Un’altra vita.

3.

In Emilia con Lodi Corazza

A tal proposito mi vengono in mente un paio di cantine e ve le voglio raccontare.
La prima è quella di Cesare e della sorella Silvia, della cantina Lodi Corazza di Zola Predosa (Bo), sui Colli Bolognesi.
La zona non si annovera tra quelle più rinomate del panorama italiano, ma è la loro terra, quella che li ha visti proseguire una secolare storia familiare senza mollare mai, per preservarla e custodirla dall’avanzare della modernità. Anche se la scelta era più difficile, faticosa e molto meno remunerativa di altre.
La loro è una vita contadina, che li porta ad amare e a vivere i vigneti, rispettandoli e ricercando armonia ed equilibrio, le stesse qualità che poi si trovano nei loro vini. La varietà a cui dedicano maggior attenzione è il Pignoletto, un’uva intrigante e malleabile che si presta a ogni tipo di vinificazione. Cesare e Silvia la studiano e la supportano valorizzandone le molteplici peculiarità e offrendoci calici indimenticabili.
Possono proporlo frizzante, fresco, semplice e dissetante, coinvolgerti con qualcosa di più intrigante con Vénti, un altro frizzante, vinificato con il metodo Martinotti Lungo, oppure affascinarti con la beva elegante e raffinata di un Zigant il loro Pignoletto Superiore. E infine i Corazza possono stupirvi con un metodo classico e una vendemmia tardiva dove il Pignoletto dà il meglio di sé mescolato ad altre varietà.

4.

In Sardegna con Quartomoro

L’altra cantina è quella di Piero Cella che, indossati i panni di un novello Indiana Jones, ha dato vita a Quartomoro di Sardegna.
Ricordo, emozionandomi ancora, il viaggio fatto assieme qualche anno fa alla scoperta della Sardegna e della sua storia viticola.
Volevamo esplorarla, capirla.
Incontrammo alberelli secolari su Piede Franco di Vermentino in Gallura e altri di Carignano sulle sabbie del Sulcis.
Nel Basso Campidano c’erano antichi alberelli di Nuragus, a testimonianza dei prigionieri austriaci che ve li piantarono nel corso della loro deportazione durante la prima guerra mondiale. In provincia di Sassari restammo affascinati da vigneti attempati di Cagnulari, una delle varietà che privilegio e dall’Arvesiniadu che ancora non ho imparato a pronunciare. Non dimentichiamoci poi di: Bovale Grande, Cannonau, Girò, Malvasia, Monica, Moscato, Muristellu, Pascale, Semidano, Vermentino, Vernaccia e diverse altre varietà che Piero ha imbottigliato. Le sue uve quasi sempre nascono da vigneti antichi e l’obiettivo di tanto lavoro è quello di valorizzare le qualità uniche e intrinseche di ogni uva, ma anche di rendere i vigneti sostenibili e produttivi economicamente per preservarli ed evitarne l’espianto.

I viaggi come questo sono tantissimi, e infinite sono le bellezze che ci chiamano a conoscere, con gli occhi aperti, con un forte desiderio di scoperta che abbatta il muro delle consuetudini. Possiamo così inoltrarci nei mondi che abbiamo rischiato di perdere e che fanno parte a pieno titolo della nostra storia.
Sperando di condividere con voi questo entusiasmo vi auguro una meravigliosa estate e innumerevoli brindisi alla vita.
Cin! Cin!